domenica 24 aprile 2011

CRONACHE DI UN SOPRAVVISSUTO

Cap.1

Sembra strano pensare a come la natura riesca a giocare brutti scherzi, il giorno prima sei la razza dominante, il giorno dopo potresti anche essere l’ultima persona rimasta sulla faccia della terra. La mia vita, prima di questo interminabile incubo è sempre stata normale: sì , normale solo se sei un adolescente emarginato; diciamo che ho fatto parte di quella “grande e popolare” massa di soggetti che non riesce ad emergere dalla propria solitudine e che spera in qualcosa che possa cambiare la propria vita… Come una seconda occasione, una scappatoia per rifarsene un’altra più decente.
Ero un ragazzo di salute cagionevole, questa era la mia colpa. La mia infanzia è sempre stata un viavai tra casa e ospedale. Ad ogni starnuto che facevo, ad ogni colpo di tosse, i miei genitori preparavano sempre le valigie, perché era il preludio, come minimo, di due settimane di febbre altissima. Così il tempo è passato, e, dopo aver perso un anno di scuola su un lettino sotto osservazione, al ritorno a casa mio padre assunse un insegnante privato perché potessi recuperare il tempo perso e continuare così fino ad ottenere il diploma, senza il bisogno di uscire ogni mattina per andare a scuola. Io invece desideravo semplicemente essere normale come tutti gli altri ragazzi, che hanno molti amici e che partecipano allo straordinario ballo della scuola ogni fine anno, magari con accanto la ragazza dei miei sogni. Lo so che è un po’ da teenager fanatici dire una cosa del genere, che magari è solo uno stupido rito fuori moda e sopravvalutato, ma i miei unici modi per avere un contatto con l’esterno, in quel momento, erano sempre stati la tv ed internet, i quali descrivono sempre questi momenti come quelli più belli che un ragazzo o una ragazza possano mai avere in tutta la loro vita. Non sapevo praticamente niente del mondo esterno, del mondo reale e non quello che sta dietro lo schermo di una scatola parlante. Un giorno però, tornato a casa da una veloce visita in ospedale, per via di una mia piccola scappatella fuori in cortile nell’intento di passare una mezz’oretta fuori gironzolando per il quartiere come ogni ragazzo normale fa, ho trovato sul mio letto un libro, sarà stato un regalo dei miei genitori? Mi domandai perplesso. Alla mia richiesta di spiegazioni, loro risposero, dicendomi che quello era solamente il primo di una sfilza di libri che avrei letto per far passare il tempo; (almeno così non avrei corso troppi rischi uscendo di casa e rischiando una facile influenza) mi promisero poi che il prossimo sarebbe stato più interessante perché in quel momento non hanno avuto il tempo di andarne a comprare uno, e hanno preso il primo che gli era capitato in libreria. Quel libro non mi è piaciuto per niente; era pieno di analogie e simbolismi, troppo complicati per una semplice prima lettura: per questo non ci capivo niente! ad un certo punto ho cominciato a fare finta di continuare a leggerlo, poi dopo circa una settimana ho riferito ai miei che l’avevo finito e che ne aspettavo con ansia un altro; magari di avventura o di fantascienza. Così andavo avanti, tra le lezioni private e i libri che solitamente mia madre mi portava (lei ci teneva, le piaceva l’idea che mi formassi con una cultura letteraria abbastanza estesa); mio padre invece era più flessibile e molte volte, di nascosto, mi portava qualche fumetto o un nuovo videogioco, certe volte quando la mamma andava a lavorare ed eravamo soli in casa, papà si fermava a giocare con me per un’ oretta o due e ci divertivamo da matti fino a quando mia sorella non si fosse messa a piangere o la mamma non fosse tornata, a quel punto doveva tornare a svolgere il suo solito ruolo da genitore e occuparsi delle varie faccende; anche se non era la mamma ad avere il comando assoluto della casa, ne possedeva una bella fetta e la utilizzava sempre al massimo, se si trattava di imporre le sue regole: “non più di mezz’ora davanti ai videogiochi” diceva lei.
Molte volte ero depresso per via della mia irrealizzabile possibilità di uscire per farmi una passeggiata, per annusare un fiore senza che il mio naso colasse, o per stare sotto la pioggia, cantando e ballando come uno scemo senza prendermi una polmonite… di quelle toste. Per fortuna però, quegli interminabili viaggi in ospedale dovuti ai miei malesseri sarebbero potuti finire. Quando è stata resa pubblica la miracolosa scoperta in Europa del vaccino Cloto, la notizia ha fatto subito il giro del mondo, l’ondata è passata così velocemente ed era così potente che non passava un giorno senza che nessuno non ne parlasse. È stata la scoperta del secolo!!. Tutti i canali in televisione ne accennavano almeno una volta. Non era altro che un siero intelligente che, se somministrato, riesce a cambiare la sua struttura molecolare, e ad eliminare qualsiasi tipo di virus dannoso per l’organismo. Nei talk show venivano dottori o scienziati esperti nel campo che parlavano delle caratteristiche di questo siero e delle sue facoltà benefiche, si parlava addirittura di poter allungare la vita media delle persone fino a cento o centocinquant’anni, c’erano anche persone che la pensavano in modo molto diverso, queste erano formate soprattutto dai religiosi: cattolici, protestanti e molti altri ancora si contrapponevano a quello che gli scienziati affermavano con tanta convinzione. Il discorso che mi è rimasto più impresso di queste persone è stato quello di un pastore: egli affermava che Dio ci ha dato le nostre vite così come sono, è stato lui che nel corso dei secoli ha fatto in modo che la nostra permanenza sulla terra si accorciasse dopo il gran diluvio, noi però ci ribelliamo al suo volere e non facciamo altro che peccare innalzando nuovi idoli e venerando le false promesse del diavolo, che stavolta ci tenta sotto forma di una provetta.
Naturalmente le parole di quel pastore sono state subito contestate da quelli che vedono la cosa sotto il lato opposto della medaglia, così, dopo poche settimane di trepida attesa, il vaccino è stato commercializzato dalle multinazionali che gestiscono i medicinali ed è arrivato anche in America, è stato ovvio che ogni singolo americano si è subito andato a vaccinare. Finalmente, dopo tutti questi anni di reclusione in casa, è arrivata la soluzione a tutti i miei problemi, dei miei familiari, e di tutte le persone con malattie gravi e non. Quando l’ago della mia salvezza mi ha punto il braccio, in quel preciso istante, la mia felicità e voglia di vivere (assieme ad un po’ di dolore sul punto dell’iniezione), non avevano eguali, posso ben dire, che in quel secondo e mezzo che il dottore ci ha messo per somministrarmi il farmaco, me lo sono goduto tutto, infatti, di lì in poi, la mia vita avrebbe preso una grande svolta.
All’inizio non ebbe molto effetto, e cominciavamo a disilludermi, ma due settimane dopo il vaccino ha dato i suoi frutti ed ero già fuori di casa, abbagliato dal sole d’estate; il caldo la fuori era tremendo in confronto alle temperature del condizionatore di casa mia e quando sono uscito fuori per la prima volta, mi son sentito svenire per via dell’aria troppo afosa. Fuori tutto era vivo, tutto si muoveva, ogni cosa vista da qui era diversa, più bella, addirittura il vento caldo che mi scompigliava i capelli e mi riempiva di polline i vestiti era stata una scoperta per me. “Finalmente sono fuori da quella prigione” ho pensato con un sospiro e col cuore traboccante di felicità, guardando casa mia da fuori sul giardino. La fine dell’estate l’ho trascorsa in vacanza dai parenti con i miei genitori per dare un taglio netto al passato e per salutare il futuro col sorriso in bocca.
Sono riuscito ad iscrivermi alla scuola pubblica addirittura un anno prima di quanto mi aspettassi; però, non era così magica come mi aspettavo. Dopo tutti quegli anni passati lontano da tutti, eccetto da mia madre, mio padre, e la mia sorellina, mi sono reso conto di aver perso tutte le amicizie e le conoscenze che avevo alle elementari.
La scuola dove mi hanno mandato i miei era appena fuori dal paese. Non mi è sembrata tanto grande all’inizio: l’edificio era composto da una costruzione di due piani, con a fianco una palestra polivalente per lo svolgimento dei corsi pomeridiani, e degli allenamenti della squadra di basket, anche se non era molto prestigiosa. Appena fuori dalla recinzione c’era un piccolo parcheggio per i professori e per i genitori che accompagnano i figli a scuola. I bidelli che lavoravano li erano tutti burberi e fannulloni, mentre gli addetti al giardinaggio, scontrosi e maleducati fino all’osso, infatti, già durante il mio primo giorno, ho subito imparato a stargli alla larga: non trovando la mia aula, avevo chiesto dove stava ad uno di loro, che si stava riposando, la rispondendo indignato mi aveva detto che non erano cavoli suoi e che dovevo cercarmela da solo; cosi ci ho dovuto mettere mezz’ora per trovare la mia classe, e mi son beccato una bella strigliata da parte del professore, oltre alle prese in giro dei miei compagni. Dopo un pò di tempo, conoscevo la scuola, non mi perdevo più, ma avrei voluto solamente fare amicizia e conoscere qualcuno.
Esser soli è dura, però, fare amicizia per me lo era quasi di più; la cosa di cui ho avuto più paura era stata come posso apparire agli occhi dei miei compagni; soprattutto alle ragazze, perché a parte mia mamma, le uniche donne che vedevo sono sempre state dall’altra parte della vetrata della mia finestra, oltre il prato di casa. Mi sentivo a disagio con tutto.
I mesi passavano e il penultimo anno di liceo ormai era alle mie spalle, ora ho gli occhi aperti e la realtà è quasi del tutto compresa dalla mia povera mente che fino a quel momento vedeva tutto rose e fiori. Ormai si avvicinava un nuovo anno e speravo che questa volta non fosse disastroso come quello di prima. Andavo avanti a testa alta, con la speranza che questo sarebbe stato un anno migliore.
Mi chiamo Lucas Dwaine, e la mia vita è cambiata durante uno di questi primi giorni di scuola. È passato più di un anno da quando Cloto ha preso parte nelle nostre vite, si erano presentati solo pochi casi isolati in alcune metropoli di persone che hanno reagito male al vaccino. Il telegiornale però non ha descritto bene le reazioni fisiologiche di quei pochi, ha solo accennato ad una specie di rabbia. Le case farmaceutiche avevano già da tempo investito capitali per analizzare cos’era successo a quei pochi casi, e magari sintetizzare una cura, ma per ora era stato tutto un fiasco.
Dopo i primi avvenimenti negativi in piccole cittadine sparse per tutto il mondo, la rabbia ha cominciato ad espandersi e le persone che si sono ammalate sono aumentate drasticamente, a tal punto da dover far intervenire l’esercito per mettere in quarantena alcune delle città colpite dal morbo, cercando di insabbiare il tutto deviando le attenzioni con stupide menzogne su attacchi bio-terroristici e possibili vaccini.
La vita però continua e la gente dopo un po’ si lascia le cose alle spalle, credendo magari che si tratti di un virus come l’aviaria o la suina di cui tanto si è sentito parlare ai telegiornali, ma di cui quasi nessuno poi ne ha avuto i sintomi; beh. La gente è stupida a girarsi e proseguire la sua esistenza, dando le spalle alle piccole cose. È vero che a molte di quelle malattie si è trovata una cura, ma esistono ancor’oggi piaghe nuove, o che si devono ancora manifestare con l’andare avanti, ma le piccole cose, pian piano, col passare del tempo, si ingrandiranno fino a che un semplice vaccino non sarà più efficace.
Tutto è cominciato quando, nel bel mezzo di una lezione di filosofia del sign. Rutenberg, abbiamo sentito degli strani gemiti, tonfi sordi, urla, e rumori di oggetti che cadevano. Credendo si trattasse di uno scherzo infantile da parte di alcuni alunni nei suoi confronti, lo sfortunato, avviatosi verso la porta, verde di rabbia non ha fatto in tempo ad aprirla che gli si è riversato contro un’orda di studenti, alcuni pieni di sangue, altri con i vestiti logori e addirittura alcuni con arti che sembrava fossero stati strappati a morsi! Lo aggredirono azzannandolo davanti ai nostri occhi, mentre lui urlava straziato dal dolore, e mentre gli altri, rimasti a bocca asciutta, entravano attaccando il resto della classe, che traumatizzata da quella scena, cercava in tutti i modi di scappare…ma era tutto inutile, erano in troppi e i corridoi brulicavano di quegli esseri. Alla fine io rimasi l’unico rimasto vivo, anche perchè per la paura non riuscivo a muovere un muscolo, ero lì, seduto sul banco con la pelle d’oca per il terrore, a guardare la morte dei miei compagni, ragazzi e ragazze che conoscevo, anche se a malapena. Tornai parzialmente in me solo quando quel che ne rimaneva del mio professore mi afferrò per tentare di mordermi, nei suoi occhi, c’era una ferocia quasi animalesca, eppure il suo corpo rispondeva come se quasi tutte le sue funzioni motorie se ne fossero andate a quel paese. Con tutta la disperazione che avevo in corpo, cercando di evitare goffamente gli altri che si avvicinano sempre di più, provai a divincolarmi da quella presa, mentre il mostro assetato di sangue mi tirava a se con forza, anche se il suo fisico era dilaniato dalle ferite. Nella lotta, spinse col corpo, facendomi cadere contro la finestra che stava dietro di me, la ruppi con la schiena, e mi ferì ad una spalla con le schegge di vetro.
Precipitammo fuori dal secondo piano… E beh... Posso garantire, che non fù una bella esperienza, non la rifarei mai più, per nulla al mondo! Per fortuna caddi proprio sul corpo di Rutenberg, attutendo la mia caduta, lui al contrario si spappolò a terra come un pomodoro marcio. Dopo essermi ripreso da quel forte impatto, ancora con le lacrime agli occhi per lo shock e lo stomaco sottosopra per quei pochi minuti di terrore, andai a cercare qualcuno nelle vicinanze che potesse aiutarmi. Barcollavo; il cuore era come se avesse voluto uscirmi dal petto per sfondare la cassa toracica. Mi faceva un male del diavolo tutto il corpo, soprattutto la schiena e la spalla, dove mi procurai la ferita, essa era tanto dolorosa da farmi urlare. Dopo le prime grida la mia voce divenne sempre più fioca e pian piano il fiato che avevo nei polmoni si affievolì, mi facevano male le corde vocali, la lingua mi si seccò in bocca, avevo la mente annebbiata, tanto che il semplice gesto di alzarsi e camminare mi sembrava un’impresa. Non ce la facevo più. rimasi a terra esausto, dovevo essere svenuto per un po’ per lo shock.
Al mio risveglio, sentendo di essere più lucido di prima mi appoggiai al muro più vicino con un braccio, e, con quello libero, estrassi il mio cellulare che per fortuna non si era rotto in mille pezzi, provai a chiamare polizia, pompieri e pronto soccorso ma mi resi conto che tutte le linee erano occupate, così cercai di uscire fuori dalla scuola, ma il cancello era stranamente serrato con un lucchetto. L’intera città era impazzita, non provai nemmeno ad avventurarmi in quella giungla di morte; laggiù in lontananza si poteva udire il frastuono degli spari che echeggiavano in tutta la zona fino a raggiungere i miei timpani; una lunga fila di macchine che cercava di uscire in tutta fretta da Belleville si ammassava sulla strada principale intasandola, chissà… Forse anche i miei genitori potevano trovarsi li. Decisi dunque di rimanere dentro, tentando di sopravvivere con quello che c’era e di restare vivo fino all’arrivo dei soccorsi, se mai vi fossero stati dei soccorsi… Per fortuna non era riuscita ad entrare nemmeno una di quelle creature all’interno del recinto. Per paura che quei mostri che oramai potevo definire come zombie, uscissero dalle aule per poi riversarsi nel cortile, andai subito a controllare che tutte le finestre fossero sigillate e a chiudere l’entrata con uno scopettone ed un rastrello che ero riuscito a trovare nei paraggi, infilandoli tra le maniglie. Il corpo di uno dei giardinieri della scuola, praticamente a brandelli e con la testa fracassata, giaceva senza vita vicino a quegli attrezzi. Disgustato da quella visione, prima di prenderli mi precipitai dietro ad un cespuglio per rimettere il pranzo che avevo consumato prima che il caos si scatenasse.
Sperando di poter forse trovare una cassetta del pronto soccorso, e magari, qualcosa che mi potesse servire come arma contundente, mi intrufolai nella palestra adiacente alla scuola. Completamente deserta, l’unica cosa che pareva strana, era una luce rimasta accesa, magari poteva esserci in giro qualcuno ancora vivo, così gridai chiedendo aiuto, magari era un fortunato che come me era scampato per un soffio alla morte, oppure il professore di ginnastica, o qualche pigrone che semplicemente era riuscito a saltare le lezioni e perdendosi tutta la catastrofe. Alle mie richieste di aiuto non vi fu nessuna risposta, così, con molta cautela entrai nella stanza delle attrezzature per prendere qualche garza e un po’ di alcol o qualunque altra cosa per tamponare la mia ferita.
Ho usato come meglio sapevo le poche lezioni di primo soccorso imparate negli scout, prima che smettessi di andarci per via delle mie condizioni di salute.
Dopo aver medicato come meglio potevo le ferite, quando mi voltai per uscire, mi vidi sfrecciare di fronte una mazza da baseball impregnata di sangue secco, che per un pelo non mi tralcio via il naso. Per la sorpresa caddi a terra in un angolo in fondo alla stanza sopra una cesta dei panni sporchi. Era stato Jarvis Anderson, il vice capitano della squadra di basket quel pazzo che stava per farmi saltare la testa; un tipo simpatico, ma che a volte mette le palle prima del cervello, lasciandosi trasportare troppo dalle “emozioni”, dietro di lui c’era una delle tante ragazze che gli sbavavano dietro, sembrava molto impaurita per quello che riuscii a vedere in quei pochi attimi.
Lo pregai di risparmiarmi urlando che non ero uno zombie, che ero ancora normale.
Lui si bloccò proprio nel momento in cui stava per sferrare un altro colpo.
Per scusarsi mi fece un cenno con la testa e mi disse che, con quello che gli è successo, per lui era molto più salutare colpire, per poi farsi le domande, e dopo avermi dato una mano ad alzarmi se ne andò verso l’entrata per controllare se qualche zombie fosse nei paraggi lasciando me e la ragazza da soli. Ci presentammo, il suo nome era Molly. Restammo per un attimo in un silenzio quasi imbarazzante. Per rompere il ghiaccio, grattandomi nervosamente la testa, ho accennato al fatto che almeno c’era qualcuno che non la pensava come Jarvis riguardo alle persone nuove che incontrava, lei mi fece subito tacere, dicendomi di non biasimarlo e mi rivelò che si comportava così perché, mentre il suo professore di ginnastica li rimproverava nel suo ufficio, si era trasformato in zombie davanti ai loro occhi grazie ad una strana ferita alla mano che si era procurato, il ragazzo, per difenderla, ha dovuto colpirlo con quella mazza finche alla fine non si mosse più.